Dal 2013 Gaetano Settimo è ricercatore dell’Istituto Superiore di Sanità (ISS), uno dei più importanti centri scientifici del nostro Paese. Siciliano di nascita ma romano di adozione, una laurea in chimica industriale e poi un dottorato in ingegneria sanitaria, Gaetano si è sempre occupato di problematiche legate all’inquinamento dell’aria.
«Dal 2010 sono anche membro del Gruppo di studio nazionale inquinamento indoor, e nel 2015 ne sono diventato il coordinatore» racconta. Insomma, ci sono poche persone in Italia più titolate di lui a parlare della qualità dell’aria indoor, e di quanto sia importante per la nostra salute e il nostro benessere quotidiani. In questa lunga e interessantissima conversazione per il blog di UpSens, Gaetano approfondisce la tematica, spaziando dalle azioni di prevenzione verso il Covid-19 alla cosiddetta “Sindrome dell’Edificio Malato”, dai COV al ruolo cruciale della consapevolezza come base per l’azione.

Perché l’Istituto Superiore di Sanità (ISS) si interessa al tema della qualità dell’aria indoor?
Il punto è che quando parliamo della qualità dell’aria, e in generale di ciò che i mass media e la popolazione chiamano “inquinamento atmosferico”, inevitabilmente tocchiamo anche il tema, fondamentale, degli effetti sulla salute dovuti a un’esposizione della popolazione alle sostanze presenti nell’aria che si respira.
Nel corso degli anni l’ISS ha maturato, in quest’ambito, grandissime competenze.
Il tema della qualità dell’aria è sempre stato molto importante per il nostro Istituto. Basti dire che noi abbiamo una delle centraline di monitoraggio dell’aria più antiche d’Italia; risale agli anni ’50, all’inizio del boom economico, e ha come focus lo sviluppo di nuove tecniche di misurazione sugli inquinanti di particolare interesse igienico-sanitario che poi, nel corso degli anni, vengono normati, a livello non solo comunitario ma appunto nazionale.
Com’è che si può migliorare la qualità dell’aria indoor? È una domanda cruciale, specie considerando che siamo nel bel mezzo di una pandemia, e che avere un’aria di qualità significa anche porre in essere un’azione di prevenzione verso il Covid-19.
Sul miglioramento della qualità dell’aria indoor noi cerchiamo sempre di lavorare sulla prevenzione. La prima azione da fare, quindi, è ridurre il numero delle eventuali sorgenti di emissioni che sono presenti nei diversi ambienti indoor. Accanto a questa azione, aumentare il flusso dell’aria o il ricambio dell’aria in maniera sinergica sicuramente ci permette di evitare quelle che possono essere le situazioni di rischio, o i gradienti di concentrazione – come li chiamiamo nel gergo tecnico – che portano a esporre la popolazione a situazioni come una concentrazione eccessiva di CO2, la presenza di COV [in inglese, VOC] o materiale particellare PM10, PM2,5, che sicuramente rappresentano un rischio per tutti noi.

Insieme all’uso mascherina, all’igiene delle mani, al distanziamento sociale, il ricambio dell’aria è una delle armi che abbiamo nel nostro arsenale della prevenzione contro il Covid-19.
Sì. Come abbiamo ripetuto spesso noi dell’ISS, bisogna lavorare con un approccio organico. In generale, quando si parla dell’inquinamento dell’aria indoor si cerca di ridurre le possibili sorgenti emissive. Nel caso di un virus la principale sorgente di contaminazione siamo tutti noi come individui, quindi lavorare in modo organico sulla riduzione del numero delle sorgenti (attraverso l’implementazione del lavoro agile), sul distanziamento fisico, sul tema dell’igiene ci permette di ridurre il rischio (fermo restando che il rischio zero non esiste), e cioè mitigare le possibili situazioni di rischio per la popolazione. Piccola parentesi: quando mi riferisco al tema dell’igiene non parlo solo del lavaggio delle mani o delle superfici, ma anche di una maggiore attenzione al tema della qualità dell’aria indoor e ai ricambi dell’aria.
Qualche tempo fa l’OMS ha pubblicato un vademecum dove ha specificato che aprire le finestre, i balconi ecc. è cruciale nella lotta al Covid-19. Sui social media è dilagato pure un hashtag, CovidIsAirborn. Tuttavia sappiamo che in quest’ambito l’Italia è stata una vera pioniera, e sin dalle prime fasi dell’epidemia l’ISS si è attivato e ha pubblicato molta documentazione a riguardo. Ci puoi dire qualcosa di più in merito, Gaetano?
L’Italia è stato il primo paese europeo a essere investito dal virus, e come ISS abbiamo cercato di elaborare subito una serie di strategie. Strategie che sin dal primo momento hanno puntato in maniera decisa sul tema dei ricambi dell’aria, perché quando parliamo di qualità dell’aria indoor parliamo di un tema che forse per molti cittadini è esotico, ma di certo non per noi dell’ISS, che siamo l’Organo Tecnico del Servizio Sanitario Nazionale. Pensiamo soltanto a quella che sino a poco tempo fa veniva chiamata “Sindrome dell’Edificio Malato”, di cui noi ci siamo sempre occupati…
Sin dall’esordio dell’epidemia in Italia abbiamo quindi attuato misure consolidate per cercare di ridurre le condizioni di accumulo di un virus, che come tutti sappiamo viaggia attraverso gli atti respiratori, il parlare, il cantare, o a causa di atti fisici come il tossire o lo sternutire. Siamo stati il primo paese europeo che già agli inizi del marzo 2020, attraverso infografiche ad hoc (e il Rapporto ISS Covid n. 5), individuava in una maggiore attenzione per i ricambi dell’aria (ad esempio attraverso l’apertura di finestre e balconi) un’azione importante e facente parte del pacchetto di strategia organica per affrontare correttamente la grande sfida del Covid-19.

Hai citato la “Sindrome dell’Edificio Malato”. Di cosa si tratta?
Consiste in tutta una serie di effetti, spesso a breve termine, causati dagli interventi per la riduzione dei consumi energetici. Mi spiego meglio: efficientare un edificio dal punto di vista energetico è necessario, ma com’è chiarissimo in tutti i riferimenti legislativi internazionali ed europei, non bisogna solo mirare alla riduzione dei consumi energetici, ma anche effettuare tutta una serie di azioni per migliorare la qualità dell’aria indoor. La “Sindrome dell’Edificio Malato” riguarda i primi interventi di efficientamento energetico degli anni ‘70, che avevano isolato del tutto edifici prevalentemente a uso ufficio; le persone che passavano molte ore al giorno in tali strutture poi lamentavano mal di testa, stanchezza, problemi respiratori o spesso, anche, lacrimazione. Tuttavia questi effetti negativi miracolosamente scomparivano quando si usciva dalla struttura in questione! [ride] Pian piano la comunità scientifica si è resa conto che il problema era legato proprio all’edificio e a tutti gli interventi che avevano ridotto il ricambio dell’aria, oltre che a una continua emissione di sostanze connesse ai materiali e ai prodotti usati negli uffici.
Prima giustamente accennavi alla CO2 e ai COV. Al di là del fenomeno Covid, da quali rischi e problematiche ci dobbiamo guardare per quanto concerne l’aria che respiriamo negli spazi indoor?
Innanzitutto il faro per tutti noi cittadini è dedicare una maggiore attenzione, quando facciamo acquisti, ai materiali che stiamo portando all’interno della nostra abitazione. In ISS diciamo sempre che non esiste una formula magica, esistono però buon senso e voglia di informarsi in modo preciso e corretto. Tutto ciò che acquistiamo e fa parte del nostro vivere quotidiano rappresenta una sorgente di emissione. Pertanto bisogna evitare acquisti non ragionati di materiali di cui non si conoscono le sostanze che da essi vengono rilasciate. Ancora, bisogna dedicare grande attenzione a tutti i prodotti per la pulizia che ogni giorno vengono usati nelle nostre case. Infine, raccomandiamo a tutti una grandissima attenzione per i ricambi dell’aria.
Per questo in ISS abbiamo più volte ribadito come l’apertura delle finestre o dei balconi possa rappresentare una misura fattibile, per la vasta maggioranza del parco residenziale italiano, non dotato di impianti di ventilazione meccanica. Un’azione, insomma, a cui tutti noi cittadini dobbiamo puntare (nel problema indoor c’è una grossissima componente educativa e sociale; quindi dobbiamo far conoscere sempre di più il motivo per cui bisogna aprire le finestre). Ma il nostro obiettivo ultimo è quello della consapevolezza: evitare di fare acquisti di prodotti di cui non conosciamo le caratteristiche emissive.

In passato hai detto che l’igiene riguarda anche la qualità dell’aria. Ma gli italiano lo hanno capito?
Diciamo che fortunatamente in questi anni c’è stata una maggiore attenzione alla tematica. È un tema che richiede un maggior interessamento da parte dei media, degli opinionisti e di tutti i tecnici. Troppo spesso noi cittadini non comprendiamo che all’interno degli ambienti chiusi si può avere la presenza di concentrazioni di inquinanti potenzialmente rischiose (e questo perché all’interno degli ambienti, oltre a un’esposizione di tipo inalatorio come accade normalmente quando stiamo all’aria aperta, possiamo avere un’esposizione legata al contatto dermico).
L’attenzione deve essere massima, dunque. C’è stata però in questi mesi una prima ondata di consapevolezza, conoscenza e sapere, naturalmente a causa dell’emergenza sanitaria, che ci ha spinto a cercare più informazioni. L’attenzione è cresciuta, e questo è un bene. Ovviamente non dobbiamo passare da un estremo all’altro, dall’indifferenza ad atteggiamenti fobici o d’ansia. Ogni cittadino deve essere consapevole delle problematiche e agire per ridurre o mitigare il rischio all’interno della propria abitazione, del proprio ufficio ecc.

A proposito di uffici e abitazioni: è vero che la ventilazione meccanica non è per forza migliore di quella naturale?
Per mitigare il rischio occorre, come dicevo prima, una strategia organica. È dunque sbagliato fare riferimento a un’unica misura per gestire correttamente la ventilazione in un ambiente chiuso; anche con le migliori applicazioni, non è possibile garantire l’eliminazione di tutti i rischi. È necessario farlo insieme a tutte le altre misure di prevenzione e mitigazione. La ventilazione meccanica può comportare infatti una serie di criticità, che nascono dal fatto che spesso gli impianti di ventilazione non sono stati progettati seguendo quelli che oggi sono i riferimenti standard in tema qualità dell’aria indoor.
Infatti abbiamo spesso una ventilazione meccanica che non è orientata alla salute degli utenti, ma si concentra sul tema dell’efficientamento energetico, con una riduzione dei ricambi ora di aria; i nostri edifici hanno sofferto cronicamente di una scarsa ventilazione. E ancora, frequentemente la progettazione tiene poco conto delle grandi differenze che esistono tra edificio ed edificio. Del resto è importante capire che la ventilazione è il mezzo, e non il fine, per raggiungere una buona qualità dell’aria indoor; essa è senz’altro uno strumento utile a nostra disposizione, un modo per mitigare il rischio, ma come tutte le tecnologie del mondo deve essere correttamente progettata, gestita e manutenuta.
Emerge la necessità che tutti – esperti di igiene, scienziati come te, architetti, chimici, biologi, designer, ingegneri, pianificatori, urbanisti, sociologi – imparino a giocare in squadra quando si parla di casa e di salubrità degli spazi indoor.
Assolutamente sì, specie quando parliamo della qualità dell’aria indoor, tema che può avere ricadute sulla nostra salute. Dobbiamo cercare di promuovere la collaborazione tra progettisti, costruttori, gestori, e anche datori di lavoro, professionisti e operatori sanitari, per riuscire a far sì che gli edifici dove viviamo, lavoriamo e impariamo siano più flessibili, e vicini alle necessità degli utenti. Tutte le scelte che si fanno in tema di progettazione, costruzione nonché gestione di un edificio devono essere scelte a lungo termine: pertanto sin dal primo momento della progettazione bisogna aver chiaro quali possono essere le ricadute in termini di salute.
Quindi maggior sinergia tra coloro che lavoro nel campo vastissimo dell’abitare?
Maggior sinergia e anche attenzione, proprio perché il vero game changer nell’approccio alla qualità dell’aria indoor è appunto una più intensa condivisione di conoscenza, esperienza e saperi tra i diversi campi.
Una bella sfida…
Sì, indubbiamente. Da una decina d’anni collaboro molto con i colleghi architetti perché loro, attraverso la progettazione, fanno un lavoro fondamentale che consente anche di intercettare le richieste e le necessità dell’utenza. Posso fare un esempio?
Prego.
È un esempio nel campo delle strutture sanitarie. La semplice apertura di una finestratura, da due a cinque metri quadrati, può forse sembrare banale per chi progetta, ma non lo è per chi poi deve gestire la struttura, perché con il maggiore irraggiamento solare o l’esposizione del sole, le superfici interne devono essere correttamente gestite con o un aumento della portata dell’aria o con una distribuzione dei flussi interni dell’aria, quindi anche l’impianto con cui si progetterà o si gestirà la struttura dovrà tenere conto di questi tipi di cambiamento.

In generale il tema dell’aria indoor è fondamentale.
Certo. Oggi non siamo più una società prettamente industriale, e men che meno una società agricola. Gran parte della forza lavoro sta in ufficio o altri ambienti chiusi, indoor appunto, e tutte le scelte che si fanno nella progettazione, costruzione e gestione degli edifici hanno poi un impatto molto concreto sulla performance, sulla competitività di un’azienda, e nel complesso su quella del sistema-Paese. Non è tutto: hanno un impatto anche sul Servizio Sanitario Nazionale!
E infatti nel nuovo Piano Nazionale della Prevenzione 2020-2025 la qualità dell’aria indoor è una delle azioni centrali. Come sappiamo ciascuno di noi passa gran parte del suo tempo in ambienti chiusi, quindi la vera sfida è quella di ridurre il più possibile, in questi spazi, l’esposizione della popolazione ad agenti chimici, biologici o fisici. L’approccio non deve essere più di tipo assistenziale, ma proattivo. Anche perché proteggere e garantire il diritto alla salute sarà una priorità sempre più rilevante nella società che verrà.
Un obiettivo molto ambizioso.
Senz’altro. Ma per garantire davvero il diritto alla salute occorre, da parte di tutti, maggiore conoscenza, più consapevolezza, un cambiamento dei comportamenti, capacità di collaborare e compiere scelte corrette ed agire, e per finire più sensibilità da parte della politica…
Consapevolezza è la parola chiave, quindi.
Certo. Dobbiamo capire quanto è importante la salute per ciascuno di noi (il 2020 ce lo ha senza dubbio fatto capire; è stato un promemoria del valore delle conoscenze perdute), e maturare una maggior attenzione e senso della responsabilità per ciò che è intorno a noi, inclusa l’aria che respiriamo. È da qui che bisogna partire per innescare un vero cambiamento.
ermanno
Mag 29, 2021 at 23:49
Lunga intervista, l’ho finita di leggere pian pianino ma complimenti al Dottor Settimo fa un lavoro encomiabile bravo!