28 anni, catanese doc ma milanese (e ora trentino) di adozione, Giuseppe Addamo è uno dei tre fondatori di VAIA, startup dell’economia circolare di cui hanno parlato i media di tutto il mondo, nata per rispondere in modo concreto e tangibile alla sfida dell’emergenza climatica, e in particolare alla terribile tempesta Vaia del 2018, che com’è noto si abbatté sulle Dolomiti devastando comunità e boschi.
VAIA è una storia positiva, e con i suoi prodotti (i VAIA Cube, fatti con il legno degli alberi abbattuti dalla tempesta) amplifica idee e storie di coraggio, talento e bellezza, in grado di cambiare il mondo. Storie come quella di UpSens, che con VAIA condivide gli stessi valori di attenzione alla natura, alla qualità della vita, all’ambiente. In questa lunga conversazione Giuseppe ci fa conoscere un po’ meglio la storia di VAIA; buona lettura!

Raccontaci di te, Giuseppe: tu sei un imprenditore, co-fondatore di Vaia.
Esatto. Però da ragazzo non pensavo che sarei diventato un imprenditore. Le opportunità, e la voglia di fare qualcosa di concreto che potesse trasmettere un messaggio, mi hanno spinto su questa strada. Di formazione sono un umanista: un cultore delle parole, della bellezza, e del raccontare tutto ciò che c’è di buono e bello nel mondo; la mia visione della vita è questa. E con VAIA ho il privilegio di poterlo fare, amplificando storie di bellezza, coraggio, talento e voglia di rendere il mondo un posto un po’ migliore. Fare impresa, per me, è una bellissima avventura, che condivido con Federico, Paolo e tutti i colleghi di VAIA.
Tu sei originario della “Milano del sud”, Catania. Che studi hai fatto?
Ho fatto il liceo scientifico-tecnologico, dove ho acquisito una forma mentis analitica, che mi porta sempre a mettere in dubbio le certezze e a ricevere criticamente le informazioni. Dopo il diploma però mi sono iscritto a Lettere moderne, e ho potuto studiare non solo letteratura, ma storia, filologia e linguistica, che è la mia grande passione. E a riguardo ti posso dire che penso sia una pazzia non promuovere lo studio della linguistica nei licei: è una delle materie umanistiche più scientifiche, e anche una delle più belle, perché si tende a studiare sempre la grammatica, cioè l’aspetto normativo della lingua, ma non si studia mai come si forma una parola, una frase, o addirittura una lingua… eppure questo aiuterebbe a comprendere un po’ meglio il mondo.
Durante l’Erasmus a Bruxelles ho lavorato come giornalista, imparando molto e acquisendo maggior sensibilità verso temi ambientali quali i biofuels e i sistemi di compensazione della CO2. Tornato a Catania ho capito che la città ormai mi stava un po’ stretta, nonostante la sua proverbiale vivacità, e ho deciso di fare la magistrale a Milano, ma cambiando il percorso di studi, puntando al marketing e alla comunicazione: prima alla Statale e poi alla Bocconi, dove ho fatto un master molto bello. Ed è durante il master che ho avuto la fortuna di conoscere Federico Stefani, co-fondatore e CEO di VAIA.
Ed è allora che avete iniziato a lavorare assieme in VAIA…
Esatto. Ed è un lavoro bellissimo. Adoro la comunicazione, e adoro scrivere. A mio parere un comunicatore, per fare bene il suo lavoro, non può non amare leggere e scrivere. Tutto ciò che VAIA pubblica è stato scritto da me (o almeno visto), e ti confesso che sono molto contento e orgoglioso di essere il “custode” linguistico del nostro bellissimo progetto. E ancora, confesso che non potrei seguire la comunicazione di nessun’altra azienda, perché per occuparti bene dell’immagine corporate e della reputazione di una realtà imprenditoriale è condividere la visione e i valori aziendali.
VAIA è una startup dell’economia circolare. Da cosa nasce la tua grande passione per l’ambiente?
Un primo seme è stato senz’altro piantato nei miei anni da scout. C’è questa bellissima frase (parafrasata) di Baden Powell, “si deve lasciare il mondo migliore di come lo si è trovato”. Si tratta di una massima che sento come mia. Io vorrei essere una di quelle persone che restituiscono qualcosa al mondo, e vorrei farlo mettendomi al servizio dell’ambiente. La pensavo così a diciotto anni, e la penso così oggi che ne ho qualcuno in più! Credo che ogni generazione combatta la sua battaglia: quella dei nostri nonni fu la Resistenza, quella dei nostri genitori fu la battaglia per i diritti civili, la nostra deve essere la battaglia per difendere il pianeta. Serve maggior consapevolezza, che per me è una parola chiave.
Consapevolezza.
Sì. Dobbiamo capire che viviamo in un pianeta a rischio, e che il nostro dovere è proteggerlo e difenderlo dalle persone incoscienti e poco lungimiranti che con la loro condotta stanno mettendo a repentaglio la vita sulla Terra: la distruzione delle foreste, l’avanzata dei deserti, la spoliazione dei mari e degli oceani, l’inquinamento dell’aria, del suolo e dell’acqua… Ogni essere umano deve fare ciò che è in suo potere per preservare e difendere il pianeta, questa è la mia intima convinzione.
La consapevolezza è la scintilla che può illuminare la notte. E VAIA del resto è nata proprio come nostra risposta alla tempesta Vaia, che per le genti delle Dolomiti è stata davvero come un fulmine a ciel sereno: una prova tangibile di come i cambiamenti climatici in atto in questo nostro pianeta possono danneggiare, ferire, ciò che noi riteniamo permanente e immutabile, come un bosco o una montagna. La tempesta Vaia del 2018 ha generato in noi una profonda e oserei dire violenta consapevolezza; e in effetti possono verificarsi degli eventi, come appunto Vaia, di fronte ai quali è impossibile rimanere indifferenti, e che ci costringono a prendere posizione. Con la startup che abbiamo fondato, VAIA, non ci limitiamo a recuperare il legno degli alberi abbattuti dalla tempesta del 2018 e a trasformarli in amplificatori naturali per smartphone, piantando un albero per ogni VAIA Cube venduto. No, il nostro vero, grande obiettivo è proprio amplificare un messaggio di consapevolezza.

Quanti alberi avete piantumato a oggi?
Ventimila alberi. Ne abbiamo messi a dimora circa quattordicimila di recente, con Etifor, che è uno spin-off dell’Università di Padova, e che fa sì che queste piantumazioni si svolgano nel rispetto dei criteri di biodiversità, giusto distanziamento e scientificità necessari. Grazie a tali piantumazioni VAIA non depaupera la natura di risorse, ma le ripristina. Come? Non soltanto dando nuova vita a una materia prima che altrimenti andrebbe sprecata, ma contribuendo alla rinascita delle foreste colpite dalla tempesta. La nostra idea è quella di dare vita a un processo che generi benefici lungo tutta la filiera (e infatti lavorano con noi artigiani del territorio), e che faccia bene anche all’ecosistema.
Quando ci fu la tempesta Vaia tu eri a Milano. Che effetto ebbe su di te quella catastrofe?
Italo Calvino diceva che i giornali forniscono sempre una visione parziale del mondo, e confezionata in un certo modo. Io guardo i tg con un po’ di distacco, e quindi quando seppi Vaia non fui colto dallo sgomento, ma piuttosto da un grande dispiacere, e preoccupazione: tutti quegli alberi schiantati, quelle comunità colpite… Ma ho provato sensazioni ben diverse quando mi sono recato sul posto sei o sette mesi dopo, e ho visto con i miei occhi i cimiteri di alberi lungo le vallate. In quel momento ho capito che era successo qualcosa di irreparabile e sconvolgente, e che (la startup) VAIA poteva essere un piccolo contributo alla cura della ferita.
I boschi sono importantissimi a livello ecologico, ma anche per il benessere psicofisico degli esseri umani. Cosa rappresentano per te?
Quando ero piccolo, e leggevo le fiabe (un po’ tenebrose a dire il vero) dei fratelli Grimm, non è che il bosco mi piacesse più di tanto! [ride] Per fortuna poi cresci, e allora capisci che il bosco è un ecosistema vivo, una realtà che esiste a prescindere da noi esseri umani, che lì siamo solo ospiti, e quindi non dobbiamo mostrarci invasivi o irrispettosi. Grazie alla mia esperienza negli scout, poi, sin da ragazzo ho capito che il bosco è un rifugio: dal rumore incessante della città, per esempio, o dallo stress della vita moderna.

Il bosco è benessere, insomma. Cos’è per te il benessere?
Qui mi riallaccio al discorso sulla consapevolezza. Purtroppo vedo che ci sono tante persone che vivono la vita succubi di sé stessi, e che patiscono un mal di vivere (troppo forte come affermazione, forse la edulcorerei un po’). Ecco, se vivi una vita del genere non puoi stare davvero bene. Benessere per me significa essere protagonisti della propria vita. Non significa non soffrire, perché la sofferenza fa parte della vita, ma stare bene con sé stessi e gli altri. E per stare bene bisogna conoscersi, bisogna conoscere il mondo che ci circonda, ed è ecco perché poco fa parlavo di consapevolezza: essere consapevoli di sé stessi, degli altri e del mondo è la condicio sine qua non per stare bene. E la consapevolezza va coltivata, alimentata. Deve essere un obiettivo quotidiano. Ed è l’anticamera del benessere. Bisogna essere consapevoli dell’aria che si respira, del cibo che si mangia, dell’ambiente in cui ci si trova. Questo, a mio parere, è il modo forse più efficace per arrivare a un equilibrio.
Un altro concetto molto importante per VAIA è il design. Perché?
Potrei risponderti che il design è consapevolezza degli spazi e delle forme. [ride] Noi di VAIA vogliamo creare oggetti iconici, vivi, in grado di raccontare una storia. E possiamo farlo grazie al design, attraverso le forme, e la filiera di boscaioli, falegnami e designer del territorio dietro quelle forme. Il design è lo strumento che ci permette di comunicare i nostri valori, e cercare di cambiare un po’ il mondo. Anche il fatto che i VAIA Cube siano amplificatori, come ti dicevo prima, non è casuale: sono la metafora della nostra volontà di amplificare le idee e le storie di chi vuole cambiare il mondo… o almeno ci prova!
Del resto, nell’epoca dell’immagine, la forma ha contenuto e sostanza: il design è un elemento che dà significato, ed è qualcosa che riguarda tutti noi, e ha un valore più profondo di ciò che tendiamo a pensare.
Quanto è importante per te il benessere inteso anche come salubrità degli spazi, aria che si respira?
Secondo me è fondamentale nella misura in cui tutto quello che ci circonda interagisce con noi, e noi interagiamo con esso. Di conseguenza, consapevoli di questo scambio, la salubrità degli spazi chiaramente fa bene a noi e ai nostri corpi, quindi è assolutamente prioritaria. È un po’ come circondarsi di buone notizie, che giova all’umore, e all’atteggiamento, rendendo una persona più positiva e proattiva. Un’aria di buona qualità, spazi salubri, una passeggiata in un bosco ci fanno star meglio, e agire meglio.

Le foto di Giuseppe Addamo presenti in questo post sono state fornite da VAIA. Per conoscere meglio UpSens, startup trentina specializzata in tecnologia per il monitoraggio ambientale, visita: www.upsens.com
darrie
Ago 12, 2021 at 12:49
figata di intervista, ed assoluta figata anche questi Upsens, una volta tanto una tecnologia utile a noi comuni mortale!